In mancanza di un'accezione generalmente riconosciuta, la definizione di white jobs abbraccia due ambiti molto vasti tra loro e relativi ai settori economici e alle professioni. Circa i primi, vi sono quattro comparti potenziali (sanità, collaborazioni domestiche, assistenza domiciliare e non) in cui lavorano soggetti economici (circa 2,5 milioni di addetti) con caratteristiche e forme giuridiche differenti (dal lavoro parasubordinato a quello autonomo). Riguardo le professioni, anche in questo caso la platea è estremamente diversificata e varia dai medici ai lavoratori domestici e include altresì mansioni ad elevata qualificazione con altre scarsamente specializzate, per circa 2,1 milioni di addetti.
Si tratta quindi di punti di vista diversi, ma che evidenziano entrambi l'importanza dei white jobs per l'economia nazionale, soprattutto a causa del progressivo invecchiamento della popolazione e dell'accresciuta partecipazione femminile al mercato del lavoro, cosa che richiede servizi sostitutivi e di conciliazione.
In tutti i Paesi dell'Unione europea sono più di 25 milioni gli occupati nei settori dei servizi sanitari, sociali e alla persona, producendo 894 miliardi di valore aggiunto: solo per l'Italia essi incidono per il 7% di tutte le attività economiche, con un incremento di lavoratori del 70%, nel periodo compreso tra il 2000 e il 2012, soprattutto nelle regioni del Nord. Dal punto di vista contrattuale, tra i white jobs del nostro Paese prevale l'occupazione dipendente (89%), di tipo indeterminato (86% in tutti i settori economici di riferimento), con un livello di istruzione superiore alla media degli altri lavoratori.
Attraverso i dati ISTAT è poi possibile risalire le caratteristiche principali delle strutture produttive che favoriscono i white jobs: al 2011 le unità attive sono 283 mila con un incremento decennale del 43% per quanto concerne le imprese e del 34% per il no-profit, a fronte di una flessione dell'83% delle istituzioni pubbliche, per via dei processi di razionalizzazione occorsi nel tempo. Le aziende operanti nei settori della sanità e dell'assistenza sociale sono 254 mila, per un totale di 749 mila addetti.
Gli occupati analizzati sulla base delle professioni sono, come visto, complessivamente 2,1 milioni, di cui il 76% costituito da donne. Interessante è la rilevazione circa le modalità con cui sono stati trovati i white jobs: se residuale è il ruolo dei Servizi per il lavoro sia pubblici che privati, che incidono rispettivamente per l'1,6% e l'1,2%, a prevalere sono l'aiuto dei parenti ed amici nel 73% dei casi, quindi la richiesta diretta al datore di lavoro (18%) e la partecipazione a un concorso pubblico (15%). La componente maschile si serve soprattutto dei canali formali, mentre quella femminile utilizza quelli informali; notevole è il gap retributivo di genere, circa 600 euro a sfavore delle donne.
Da ultimo, lo studio analizza e compara le politiche di promozione e valorizzazione dei servizi alla persona a livello europeo, nell'ambito delle quali i white jobs offrono un contributo significativo. Gli Stati membri hanno adottato quattro tipi di misure: riduzione del costo dei servizi, per scoraggiare il lavoro sommerso; semplificazione procedurale, attraverso l'utilizzo dei voucher; regolamentazione del lavoro occasionale abbattendo il prelievo
fiscale; adozione di misure per promuovere l'imprenditorialità per l'erogazione di servizi alla persona. In Italia è allo studio una proposta di legge per l'istituzione del voucher universale, alla stregua di quanto adottato in Francia e Belgio, modifica e razionalizza il sistema di detrazioni di cui possono usufruire i nuclei familiari, incentivando altresì l'uso del voucher in ambito aziendale.