I Servizi pubblici per l'impiego sono al centro dell'attuale dibattito europeo in quanto ad essi è richiesto sia un ruolo più incisivo nelle politiche del mercato del lavoro, ma anche la revisione dei modelli organizzativi quale strumento di contrasto agli effetti prodotti dalla crisi economica e finanziaria sull'occupazione. Il loro ruolo nei diversi Paesi europei quali strumento operativo per le politiche del lavoro, assume quindi un peso sempre crescente. Una tendenza prevalente in questi anni, è quella dell'accorpamento e creazione di uno strumento unico che gestisce sia le politiche attive, che quelle passive. L'analisi condotta in ciascun Paese membro evidenzia che ciò è presente nella maggior parte dei contesti osservati, lasciando a pochi scenari una gestione distinta (è il caso, ad esempio, del Belgio, dell'Italia, del Portogallo e della Svezia).
Tale modalità gestionale influisce fortemente sulla organizzazione funzionale delle Agenzie stesse, ma soprattutto sulla capacità di anticipare e contrastare le dinamiche negative del mercato del lavoro.
Altro aspetto è quello che vede le Agenzie coinvolte in processi di ristrutturazione interna che hanno messo in discussione la relativa autonomia. È il caso, ad esempio, del Jobcentre Plus del Regno Unito confluito nel 2011 all'interno della struttura del Ministero del Lavoro inglese, un caso simile è quello dell'Agenzia svedese, così come la recente (2012) incorporazione nel Dipartimento della protezione sociale, del FAS irlandese.
In ogni modo, con l'avvento della crisi le Agenzie si sono rafforzate, razionalizzando le proprie procedure d’intervento oppure accrescendo il numero di tipologie di servizi o aumentando il numero di addetti. Un caso paradigmatico è quello della BA tedesca, diventata la seconda azienda per numero di addetti con 110.033 dipendenti; altrettanto importanti sono il Jobcentre Plus con 77.722 dipendenti e Pôle Emploi con 49.407. Va comunque evidenziato che l’organico risulta così elevato in quanto le Agenzie risultano competenti anche per la gestione delle politiche passive, tra cui l'erogazione dell’indennità di disoccupazione.
Aspetto importante, se non il principale, è quello relativo alla “quota di intermediazione”, ossia la capacità di incidere concretamente sulla platea di coloro alla ricerca di occupazione. Si passa da una “quota-monopolio” in Svezia (85%-92%), al 60% della Finlandia, al 50% della Germania, al 35% nel Regno Unito, fino al 13% della Repubblica Ceca e all’esiguo 3%-4% del nostro Paese, segno di un’evidente necessità di riformare la governance, la dotazione finanziaria e strutturale dei PES italiani, che vedono una spesa in rapporto al PIL (0,032%) che è un decimo di quella di altri Paesi (ad esempio, la Francia con il 0,252%, la Germania con il 0,340%, per arrivare alla Danimarca con lo 0,543%).