L'Eurostat ha definito tre nuovi indicatori complementari al tasso di disoccupazione che sono pubblicati con frequenza almeno annuale, a partire dal 2011. Questi tre nuovi indicatori, adottati in modo conforme dagli uffici statistici dei paesi europei, arricchiscono le possibilità di fotografare il mercato del lavoro nel quale, fino ad adesso, le persone potevano avere, dal punto di vista statistico, solo tre condizioni: occupato, disoccupato e inattivo. Troppo semplificate per riuscire a cogliere, le complessità delle aree grigie in cui l'inattività degli scoraggiati che sono pronti a lavorare immediatamente non ha caratteri molto diversi dalla disoccupazione e anche l'occupazione a tempo parziale involontaria con retribuzioni ridotte condivide alcune delle criticità della disoccupazione.
I tre nuovi indicatori sono complementari al tasso di disoccupazione e non alterano la sua definizione, perché definiscono nuove categorie di inattivi e di occupati:
a) "inattivi disponibili a lavorare ma che non cercano";
b) "inattivi che cercano lavoro ma non sono disponibili immediatamente";
c) "sottoccupati part time".
I primi due indicatori costituiscono le "forze di lavoro potenziali - FdLP". Il fenomeno delle forze di lavoro potenziali interessa particolarmente l'Italia dal momento che su una platea europea complessiva di 11 milioni di persone, più di un quarto risiede nel nostro Paese. Ma al di là del primato negativo del nostro Paese misurato da questo nuovo indicatore, la sua introduzione modifica i paradigmi interpretativi più comuni delle criticità del mercato del lavoro del Mezzogiorno e consente di guardare da un punto di vista diverso il fenomeno più abnorme rappresentato dal fatto che più della metà della popolazione delle otto regioni del Sud non lavora (in modo regolare) e non cercherebbe neppure un'occupazione (55%).
Infatti, quando s'introduce il nuovo indicatore delle forze di lavoro potenziali, l'area dell'inattività, delle non forze di lavoro si ridimensiona drasticamente. I "veri" inattivi, coloro che non vogliono lavorare per motivi soggettivi od oggettivi, si riducono di quasi 13 punti percentuali, dal 55% al 42%, in ragione del fatto che il 13% è costituito dalle forze di lavoro potenziali. Diminuisce anche la distanza tra Centro-Nord e Mezzogiorno degli inattivi, da 15 a 5 punti percentuali. Altra conseguenza di non poco conto nell'utilizzazione dei nuovi indicatori dell'Eurostat riguarda le forze di lavoro che, se sommate a quelle potenziali, determina un aumento della popolazione "attiva" del Mezzogiorno al 58%, valore non molto distante dal 63% del Centro-Nord. Occorre però osservare anche l'altra faccia della medaglia perché l'introduzione del nuovo indicatore complementare al tasso di disoccupazione aumenta in maniera significativa l'area delle persone che vorrebbero lavorare, ma che non hanno trovato un'occupazione, costituita dai disoccupati e dalle forze di lavoro potenziali, che raggiunge nel Mezzogiorno la quota del 19% a fronte del 7% che si osserva nel resto del Paese.
La ricerca sviluppata su questi nuovi indicatori complementari esplora le caratteristiche della presenza di una quota così elevata di forze di lavoro potenziali, soprattutto nel Mezzogiorno, che altera profondamente il rapporto tra attivi e inattivi, ma soprattutto approfondisce le ragioni per le quali nelle regioni meridionali è così alta la quota di forze di lavoro potenziali e verifica se queste ultime hanno comportamenti che effettivamente si possono assimilare a quelli dei disoccupati, con un'alta propensione al lavoro.
Le evidenze statistiche mostrano che il fenomeno della presenza di una quota importante di FdLP nel Mezzogiorno non è estraneo a quello del lavoro irregolare. L'utilizzo di questi nuovi indicatori consente anche una rivisitazione della "questione femminile".