Lo studio analizza il sistema dei "childcare vouchers" nel Regno Unito, con lo scopo di verificarne la riproducibilità nel sistema italiano. L'esperienza inglese è stata avviata nel 2005, a seguito dell'introduzione del "Childcare Act", con lo scopo di aumentare l'occupabilità femminile, conciliando allo stesso tempo le esigenze di lavoro e di vita familiare. Il sistema consente ai datori di lavoro di offrire ai loro dipendenti due tipi di servizi a sostegno della cura all'infanzia mediante l'erogazione di appositi voucher, in aggiunta alla possibilità di usufruire (ove presente) dell'asilo nido aziendale: buoni consegnati direttamente ai lavoratori beneficiari o servizi forniti direttamente dal datore di lavoro attraverso un fornitore debitamente autorizzato da specifici Enti governativi. Con i voucher possono essere pagati tutti i servizi rivolti ai bambini fino a 15 anni (16 se disabili), inclusi la custodia di bambini; gli asili nido; le scuole materne; i centri gioco; i circoli dopo-scuola; i programmi di vacanze; le baby-sitter e bambinaie qualificate. I beneficiari dei servizi (i dipendenti) ricevono, direttamente dal datore di lavoro o dal fornitore di buoni selezionato da esso selezionato e nelle date stabilite i voucher per la somma spettante.
Comparando il welfare inglese con il sistema italiano, emergono una serie di differenze, in primo luogo il divario relativo alla quota di spesa sociale privata (pari al 2,1% del PIL contro il 7,1% di quella del Regno Unito); le stesse esperienze promosse nel nostro Paese sono molto limitate e coinvolgono quasi esclusivamente le grandi imprese in alcune realtà territoriali. Viene evidenziato il modello della Luxottica che, nato nel 2009, lega in maniera inscindibile i risultati di produttività dell'azienda e l'entità delle misure di welfare proposte. I risultati maturati sono stati notevoli, considerando che nel solo 2010 sono stati stanziati per i dipenenti, due milioni di euro, 200 mila dei quali per l'acquisto di libri scolastici e 20 mila per le borse di studio. Ma soprattutto è stata avviata una banca ore per il sostegno della genitorialità, la possibilità da parte dei neo-padri di assentarsi sino a cinque giorni lavorativi retribuiti in occasione della nascita del bambino, l'integrazione sino al 100% della retribuzione per i collaboratori assenti da oltre 180 giorni.
Vengono quindi analizzati, dal punto di vista fiscale, i criteri per l'introduzione del sistema dei voucher in Italia, sottolineando quanto ribadito dalla Risoluzione del 2010 dell'Agenzia per le entrate, nella quale si precisa che i voucher di conciliazione per l'acquisto diretto di servizi alla persona utilizzati dalle amministrazioni pubbliche non hanno natura retributiva né di compenso e, pertanto, non possono essere riconducibili ad alcuna delle categorie di reddito previste dal TUIR.
Lo studio ipotizza quindi l'utilizzo da parte delle imprese dei voucher per i servizi all'infanzia come misura di welfare aziendale, soprattutto quando la dimensione aziendale (piccole e medie imprese) e il limitato numero di dipendenti non giustifichi l'approntamento di servizi strutturati come asili nido. Sottolineando però le difficoltà di giungere ad accordi aziendali che prevedono il sacrificio dell'incremento salariale a vantaggio di benefit diretti solo a pochi destinatari, occorre pertanto che i voucher forniscano servizi e beni rivolti alla generalità dei lavoratori o siano contrattati all'interno di un insieme di misure di welfare più ampie.